10 dicembre 2012

La cultura del fallimento

Parlando con un amico, ho saputo della storia di un ragazzo impiegato in una grossa società informatica americana con uno stipendio da 12.000$ al mese. Questo ragazzo, dopo aver messo da parte un bel gruzzoletto, si è licenziato per mettersi in proprio, e adesso se la passa ancora meglio di prima. Storie così non sono poi così rare: un altro esempio è Gabe Newell, con Valve. Chissà quanti altri poi ci hanno provato, hanno avuto scarso successo e sono semplicemente tornati a fare gli impiegati. Perdendo soldi sì, ma senza ridursi sul lastrico trascinandosi dietro tutta la famiglia.

Dei vari blog che parlavano dello sfortunato lancio di Volunia (trattasi, per chi non se lo ricordasse, di un fallimentare motore di ricerca made in Italy) me ne è rimasto impresso uno in particolare. Il blog in questione, andando contro corrente, voleva parlare bene di Marchiori. A questo proposito parlava del disfattismo in Italia, della sassaiola che ci si becca se si prova a fare qualcosa di ambizioso e si fallisce; insomma, della mancanza della cultura del fallimento in Italia. Non posso dare completamente torto a Riccardo Luna, ma la sua storia non mi ha mai convinto. L'illuminazione mi è arrivata quando ho appreso le storie all'Americana di cui sopra (proprio Riccardo parla della Silicon Valley). Loro ci provano, tanti falliscono, qualcuno ci riprova e qualcun'altro riesce. Il punto è che ci provano in tantissimi. Per rimanere più vicini a noi, e parlando di una realtà che conosco meglio, fra il 2008 e il 2011 nel Regno Unito hanno aperto 216 nuove società di videogames, mentre altre 197 hanno chiuso. Alto tasso di mortalità delle aziende, alcune aprono e altre chiudono ma sui grandi numeri qualcuna ce la fa. Immagino che parlando di California i numeri non possono che essere maggiori, e per forza, visto che la gente ha fondi personali o che comunque i piccoli investitori non mancano. Insomma, loro sì che possono permettersi di provarci e fallire, beccarsi un plauso per averci provato, rialzarsi e ricominciare. Certo, la denigrazione all'Italiana è uno dei tanti problemi che ci affligono, ma bisogna anche considerare che iniziative come Volunia dalle nostre parti sono una rarità. Era un "o la va o la spacca" per noi che assistevamo da fuori, tutti col fiato sospeso ad aspettare che finalmente in Italia aprisse una grossa società moderna, capace di creare posti di lavoro e sviluppo, e credo che la delusione si sia poi tradotta in aggressività prima di sfociare nella solita denigrazione all'Italiana (e metto me stesso in cima alla lista dei 'colpevoli'). Non voglio in alcun modo rivalutare il lancio di Volunia né il prodotto stesso, voglio semplicemente dire che ciò di cui avremmo bisogno è più gente che ci prova. Allora sì che sperare in un successo e non curarsi dei fallimenti avrebbe un senso.

Da un po' di tempo, a proposito di motori di ricerca, sono passato a Duck Duck Go. Si tratta, indovinate, di un motore made in USA che mira a fornire un servizio migliore di quello di Google. Per chi fosse interessato a saperne di più, potete vedere il loro video. Probabilmente tanti in tutto il mondo rideranno e si lanceranno in lunghe critiche contro il nuovo motore che vuole rimpiazzare Google, ma tanti altri crederanno tranquillamente che Google non rappresenta in nessun modo il motore di ricerca perfetto e cercheranno alternative migliori. Forse quello che mi irrita di più sono le continue frasette di Marchiori sul non voler rivaleggiare con Google, la sua insistenza sul non poter competere con un gigante mondiale. Lo capisco, perché un'affermazione pubblica come "rimpiazzeremo Google" è arrogante e in Italia soprattutto tende ad attirare un sacco di ignoranti improvvisamente diventati esperti opinionisti. Ma mi irrita perché evoca nella mia mente tutta la cultura italiana condensata in un pensiero di pochi secondi: l'ingenuità dell'aspettarsi una startup che rivaleggi con una multinazionale fin dal primo giorno di vita; l'ignoranza del non capire la tecnologia e le risorse di cui Google dispone, del non capire che Google è quella che è anche grazie a tanti Italiani in gamba che sono partiti all'estero. Volunia non dispone di queste persone perché i più bravi continuano ad andare via. Soprattutto, in Italia mancano le infrastrutture. Con la server farm di Aruba che va a fuoco da sola, le Poste che si fermano per un bug causato da chissà chi e Fastweb che promette la fibra ottica da 14 anni e ancora ci lascia con l'adsl "temporanea", come si fa a sperare che una società informatica moderna possa decollare? E come si fa ancora a pensare che l'informatica è il misterioso dominio di pochi ragazzini appassionati di videogames in grado di creare giochi, motori di ricerca, programmi e tutto il resto con lo schioccare delle dita, da soli e da un giorno all'altro?

2 ottobre 2012

Dubbio made in Italy

Vorrei far vedere ai miei visitatori un video che un collega mi ha mostrato proprio oggi. Personalmente ho sempre ritenuto che i soldi fossero il motivo sbagliato per decidere di andare all'estero. È questo il motivo che spinge tanti immigrati a venire in Italia, per esempio, e nella maggior parte dei casi questi ultimi finiscono per odiarci. No invece, si parte per la curiosità di conoscere nuove persone e vivere nuove esperienze; si fa per imparare a vedere il mondo da punti di vista differenti, per avere contatti ovunque, per fare tante foto, per avere tante cose da raccontare ai nipotini, per quello che vi pare, ma non per i soldi.

Eppure, ogni volta che cambio Paese e mi chiedo se andare in un posto nuovo o tornare in Italia, mi trovo con una scelta limitata proprio per colpa dei soldi. L'italia è diventato il Paese delle tasse, in cui le imposte vanno pagate prima ancora di ricevere le entrate. È anche diventato il Paese della sporcizia e dell'inquinamento grazie ai mafiosi del sud, dell'ipocrisia senza limiti grazie a Bossi e suo figlio, il Paese degli stipendi bassi e dei contratti di tre mesi.

Caparezza ci canta di aver dimenticato di essere figli di emigrati, ma forse gli è sfuggito che siamo anche fratelli e padri di emigrati. Forse non ha nemmeno notato quanti visitatori hanno siti come ItaliansInFuga o ItaliansOfLondon, per non parlare dei gruppi di Facebook.
Vi lascio al video.

3 settembre 2012

iMoney

Sulla recente disputa legale fra Apple e Samsung si trova di tutto e di più su internet, ma vorrei raggruppare qui un po' di informazioni e aggiungere la mia predica personale.

Prima di tutto un rapido riassunto: Apple sostiene di avere l'esclusiva su alcune sue invenzioni, come il cellulare a tutto chermo di forma rettangolare e come i vari controlli dell'interfaccia (doppio tap per zoomare, effetto elastico quando si scorre oltre la fine del menu). Insomma, il 'look & feel' del loro prodotto. Una storia molto simile a quella del 1994, quando perse la causa contro Microsoft.
Samsung sostiene che sia in realtà Apple ad aver copiato, o almeno che alcune cose non possono essere fatte diversamente. Ricordate quest'ultima cosa, fra un po' capirete perché.
Questa scaramuccia è stata portata davanti al giudice in diversi Paesi, e sia in Giappone che in UK è stato riconosciuto che la Apple non può bloccare la concorrenza, e quindi la competizione e l'innovazione, solo perché gli va. Negli Stati Uniti, invece, i giudici hanno deciso che può. E Apple ci ricama sopra, tirando fuori una lista dopo l'altra di prodotti Samsung da bandire dal mercato americano.

Per noi Italiani, abituati alle continue querele dei politicanti, ai battibecchi infantili e al continuo sgambettarsi l'un l'altro può sembrare l'ennesima notiziola senza importanza. Quotidiana routine. Invece, mi giunge voce, c'è dell'altro.

Apple e Microsoft sono coproprietarie di alcuni brevetti. In particolare di una serie di brevetti in precedenza detenuti da Novell e in seguito ceduti ad un insieme di compagnie deciso da Microsoft.
C'è dell'altro: Apple ha concesso a Microsoft i diritti di sfruttamento dei brevetti contestati a Samsung. Voci di corridoio vogliono che l'aspetto di Surface (il tablet Microsoft) e del WinPhone siano frutto di un accordo a lungo termine fra Apple e Microsoft (in fondo è da parecchio tempo che Steve Jobs ha dichiarato di voler distruggere Android). L'intento finale sarebbe quello di mostrare ai giudici un esempio concreto di come i prodotti Samsung avrebbero potuto essere diversificati da quelli di Apple. Non importa se questo avrebbe significato la produzione di oggetti brutti, come appunto quelli di Microsoft. Perché quest'ultima si sarebbe accontentata di produrre oggetti brutti, persino più del solito, e fare da spalla in tribunale? Facile: per aggiudicarsi i suddetti brevetti di Apple (ad un prezzo stracciato, a quanto pare) togliendo allo stesso tempo dal mercato un grosso, grosso rivale.
Insomma, una torta da 50 miliardi di dollari è bello spartirsela in tre, ma in due è meglio ancora (pdf).

Vorrei far notare, a chi non ci fosse ancora arrivato, che tutto questo sperpero di denaro e risorse umane in azioni legali è finanziato dagli stessi clienti di Apple e Microsoft. Vorrei far notare che Microsoft ci propina la stessa "innovativa" interfaccia grafica dal 1994, e che continua a rivendercela in tutte le salse. Vorrei far notare che anche i furbetti che pensano di fregare tutti installando copie craccate di Windows e Office stanno in realtà appoggiando questi matti. Vorrei far notare, a quelli che pensano che l'iPhone 18 sarà bellissimo perché la Apple avrà avuto fondi e tempo per lavorarci, che solo una piccola parte dei loro soldi finiscono nell'innovazione. Il resto verrà sperperato in spese sconsiderate e azioni legali da troll. E in stipendi milionari, più o meno meritati.

26 agosto 2012

Il caffè della Peppina

Il cruccio principale degli Italiani all'estero, me compreso, è la mancanza del caffè espresso. Che si tratti di un latin lover circondato da nordiche strabelle, di un fortunato migrante nel Paese del Sol Levante o di me nelle Fiandre dove la birra quadruplo malto costa meno dell'acqua, ci sarà sempre un motivo di scontento, e quello è il caffè. Certo, ci si abitua anche ai bibitoni a 150° dello Starbucks, ma per alcuni la nostra mania per quel bicchierino di bevanda bruciacchiata diventa qualcosa da ostentare, sia nel bene che nel male.

Tempo fa lessi su un blog molto interessante un post riguardo le usanze italiane sull'offrire qualcosa ai nostri invitati e sull'insistere molto. Il caffè, secondo me, gioca un ruolo fondamentale in questa e altre usanze della nostra cultura. Quando visitate qualcuno, vi offrirà una Coca Cola, un liquore, un caffè. A seconda di quanto avete intenzione di fermarvi, accetterete una cosa o l'altra. Il caffè si prepara in fretta, ma vi fa sentire i benvenuti mentre chi vi ospita ve lo prepara. Lo si beve in fretta e, essendo poco, si può bere anche se non ci va davvero.
Lo stesso caffè si può prendere al bar dopo pranzo con i colleghi, prima di rientrare in ufficio, o si può bere in stazione quando abbiamo 10 minuti prima di salire sul treno. Si può bere d'estate quando fa caldo, da soli o con gli amici, si può persino bere facendo due chiacchiere col barista. E, ultimo ma non meno importante, un caffè costa 1€ o meno.
Io penso che sia questo quello che mi manca di più del caffè. In Francia il caffè è tutto sommato bevibile e ancora simile a quello italiano. I colleghi fanno la pausa caffè il pomeriggio: 10 minuti per staccare dal lavoro e per socializzare. In Belgio, santa gente che si trova là, ho importato l'usanza ed ero solito invitare alcuni colleghi il pomeriggio, ma la materia prima già non era più la stessa: provate voi a trangugiare 20 cl di acqua bollente in 10 minuti. Inevitabilmente le pause erano o troppo lunghe o troppo corte. Ho anche provato ad invitare questi colleghi al bar dopo pranzo, ma il tempo a disposizione è poco e restare 30 minuti nel bar ogni giorno diventa un impegno pesante. Senza contare che lì il caffè costa almeno 2€ e 50.

Insomma, come ho detto all'inizio ci si adatta a tutto. In alcuni Paesi per socializzare si beve mezzo litro di birra a stomaco vuoto; a offrirsi di pagare per tutti si passa per il tonto della situazione; a dire che il caffè in Italia è più buono si fa la figura del troll. Paese che vai, usanze che trovi. Ma sentirmi dire che il caffè italiano fa schifo da un ragazzino che sfoga su internet la frustrazione per i colleghi che lo prendono in giro per le sue usanze, questo mi fa davvero rivoltare lo stomaco. A queste cose non mi ci abituerò mai.

28 giugno 2012

Perché Linux

Anni fa, quando decisi di usare Linux stabilmente, mi ripromisi di non diventare uno di quei testimoni di Geova che aspettano solo l'occasione giusta per attaccarti un bottone infinito su Torvalds, il software libero, i pinguini e le console. In parte ci sono riuscito, in parte no.

Una delle software house per cui ho lavorato tempo fa metteva a disposizione degli impiegati una mensa a prezzo ridotto. Non gratis, badate bene. I miei nuovi colleghi mi ci portarono a mangiare fin dal primo giorno, e fin dal primo giorno li ho sentiti lamentarsi: la pasta è scotta, la carbonara è cruda, la carne puzza, la verdura è marcia. Una, due, tre, cento volte. Era vero, mangiavi primo e secondo a poco prezzo ma che schifezze! Però, puntualissimi all'una tutti i giorni, ecco alzarsi i carismatici del gruppo che invitavano tutti gli altri a ricominciare il loro strano rituale quotidiano. Io, a costo di essere chiamato asociale, ho iniziato ad andare con loro sempre meno spesso fino a smettere del tutto. In fondo se uscivo fuori oltre a fare due passi mangiavo anche meglio: pizza a taglio appena sfornata, panini mozzarella e cotto, giapponese. Ok lo ammetto, ogni tanto kebab. Alla fine ho scoperto che altri mangiavano fuori regolarmente, e altri ancora hanno finito per unirsi a noi. Insomma, tanto asociale non ero.
Non ce l'avevo con la mensa in particolare, ma volevo mangiare meglio. Ero stanco di lamentarmi tutti i giorni senza fare mai niente ed ero stanco di supportare con i miei soldi un servizio che mi faceva schifo.

Era lo stesso periodo in cui uscì Windows Vista: era identico a quello vecchio ma costava di più, richiedeva hardware più potente, si bloccava più spesso ed era più vulnerabile a virus e worm. Io usavo il vecchio Windows 2000, ma con l'uscita di Vista e la sospensione delle patch di sicurezza mi sono trovato di fronte a un dilemma. Potevo restare su un vecchio sistema non più supportato, potevo provare a scaricare una copia pirata di XP e rimandare il problema o potevo tirare fuori i soldi per supportare una compagnia che fa il bello e il cattivo tempo e mi costringe a pagare a prezzo pieno un software che non voglio e che non mi piace. Tipico quando chi ti vende il software ha il monopolio. Poi mi sono ricordato di tutti quei matti che continuavano a parlarmi di Linux. A quanto pare è stata una scelta vincente nonostante le perplessità e gli sforzi iniziali: con Windows 8 la storia è destinata a ripetersi.

Nel tempo mi hanno dato dell'hippie, dell'eccentrico controcorrente, del tirchio/squattrinato, del pirata che scarica tutto gratis e dello sfigato che usa programmi lenti, buggati e anni '80 (riferito ai software open source, git in particolare). Questo detto da fieri utenti di Firefox, Thunderbird e Chrome, con i loro sistemi Windows non genuini e WinRar craccato d'ordinanza. Ecco, sono critiche che si contraddicono da sole, la gente non sa di cosa parla.

Il punto è che Linux funziona meglio senza mettere limiti assurdi, gratis. Microsoft investe in DRM, improbabili misure di sicurezza e patch su patch. Il risultato è che Windows ha portato pochissime innovazioni in oltre 20 anni (a parte agli inizi), concentrandosi più sull'evitare che gli altri li superassero commercialmente. Milioni spesi in pubblicità e in software che bene o male esistevano anche prima, ma dai nomi ammiccanti (SilverLight, .net). Il risultato è che si trascinano dietro un filesystem lento e vecchio (NTFS quando va bene), un sacco di problemi che non risolveranno mai e un'interfaccia che sa di muffa. Più una valanga di software che nessuno vorrebbe più vedere, tipo Explorer. Sembra che con Windows 8 vogliano recuperare, ma tutte le novità che propongono io le uso già da tempo. Insomma, vi chiederanno un'altra volta soldi per vendervi una scatola nuova piena di cose vecchie.

Non fosse che per zittire i vari testimoni di Geova, chiamate il vostro amico esperto di Linux e fate una prova. Poi commentatemi e fatemi sapere :)

9 giugno 2012

Un passo avanti, due indietro

Vi ricordate di SuperEva? Quel vecchio motore di ricerca dalla grafica discutibile e dalle prestazioni scarse persino per l'anno in cui era uscito. Chissà perché, ma ogni volta che si parla di Volunia mi viene in mente SuperEva.

Giorni fa, dopo mesi di silenzio, mi è arrivata una mail di Volunia con un nuovo straordinario annuncio: il progetto non è morto! Anzi, il sito aprirà presto a tutti gli utenti! Beh, interessante, ma credo di aver premuto Canc sulla tastiera per sbaglio.
Fatto sta che qualche giorno dopo, parlando con un conoscente, mi trovo a navigare sul loro sito di nuovo. Sull'home page campeggia il figlio storpio dell'unione fra logo Wind e Gratta e Vinci (per completezza, alcuni notano una somiglianza con il logo TUIfly; io ci aggiungo il simbolo del V-day). No, non gli hanno defacciato il sito, è solo il loro logo. Non potendo fare il login vado sulla pagina del blog dove c'è lo stesso messaggio che ho ricevuto per mail, con qualche commento postato dagli utenti. Pochi commenti. Pochissimi, visto il clamore suscitato da Volunia e il tempo trascorso da quando ho ricevuto la mail a quando sono andato sul sito. Si vede che nella foga di liberare i polli hanno liberato anche qualche moderatore dalla censura facile, magari qualche ex del Fatto Quotidiano. Fra le vaghe promesse di aprire a tutti, di decollare ecc ecc trovo il tasto X del browser e dimentico la spiacevole faccenda.

Oggi, leggendo le notizie del giorno, vedo di nuovo il nome di Marchiori sui siti dei quotidiani: Marchiori lascia. C'è anche un link ad un testo scritto da lui, uno sfogo rivolto al web per spiegare il perché di questa disfatta precoce. In breve pare di capire che Marchiori conta poco. A parte le decisioni tecniche ha fatto poco. In altre parole non è sua la responsabilità dell'annuncio prematuro, della grafica da brivido, della comunicazione inesistente, della figura di merda spaziale. Magari non ha nemmeno scritto il discorso di presentazione, né ha deciso lui di fare tutto in Italiano.

Ho già espresso una volta la mia opinione negativa su Marchiori, ma stavolta vorrei spezzare una lancia a suo favore: io in Italia, seppure per poco, ci ho lavorato. Mi ricordo gli imbecilli che prendevano decisioni al mio posto. In Italia il programmatore è visto come un operaio di fabbrica che aziona le macchine: muovi la leva, premi il pulsante, lavora più in fretta. Andrea Martinoli di Milestone ne sa più di qualcosa. Chi paga dà gli ordini, chi ha le capacità per realizzare le cose ha le mani legate. Immagino la grande ambizione di Marchiori messa davanti ad un bimbominkia che pensa che per essere fighi basta contraddire sempre. Uno di quelli che si sono comprati iPad e iPhone, con account su Twitter, Facebook, Google, YouPorn, col libro di Steve Jobs sulla scrivania, che all'improvviso da semplici utenti diventano esperti del web.

A questo punto le figuracce sono state fatte, i soldi sono stati buttati e il tempo è stato perso.
Caro Marchiori, mi piacerebbe credere che tu sia un grande esperto, ma a me sembri sempre un teorico con la testa per aria.
Caro fantomatico Mr Volunia, complimenti per aver gestito un progetto ambizioso nel peggior modo possibile.
Caro sviluppatore che hai fatto le scarpe a Marchiori: LOL!

7 giugno 2012

Gli affitti delle Fiandre

Le Fiandre. Che posto affascinante. Pianura a perdita d'occhio, belle ragazze, ordine e pulizia ovunque, buoni stipendi, contratti d'affitto da ladroni.

Essendo arrivato a ottobre inoltrato, vale a dire dopo l'apertura delle scuole, mi sono trovato a cercare casa nel periodo peggiore dell'anno.
Immaginate la situazione: il lavoro che inizia fra 10 giorni, la casa da liberare a Parigi entro una settimana con tanto di nuovo coinquilino che ha già iniziato a portare le sue cose, ostello pieno fino a due settimane dopo. Di case per trovarne ne ho trovate, ma senza mobili; alcune senza nemmeno cucina, frigo né lampadari. Ma il vero problema sono i contratti totalmente vincolanti: una volta firmato non si può andare via fino alla scadenza. Se si lascia casa, anche con ampio preavviso, il proprietario può comunque rivalersi sul vostro stipendio direttamente alla fonte. L'idea di vincolarmi a un appartamento in affitto per i prossimi 3, 5 o addirittura 9 anni non mi piace nemmeno un po', mi capirete, specie se è un buco da ristrutturare e arredare.
Poi il colpo di fortuna proprio allo scadere del tempo, quando già mi ero rassegnato ad andare a vivere sul posto di lavoro come Onizuka: un monolocale vicino alla stazione, appena ristrutturato e completamente arredato. Con lavatrice e letto matrimoniale (no, non c'era nessun tostapane e maxischermo, per quelli di voi che pensano "alla fregatura"). Ciliegina sulla torta: il contratto è di "solo" un anno. Firmo al volo, pur sapendo che in condizioni normali non l'avrei mai fatto, e il weekend dopo sono nella casa nuova. E iniziano le sorprese: il letto matrimoniale è diventato singolo (a parte i sogni sfumati con le amanti fiamminghe, c'è il problema delle lenzuola da comprare). La lavatrice non c'è. È a mio carico, ma il tubo dello scarico ancora manca. Il campanello non funziona, il collegamento del telefono non arriva fin dentro, l'acqua calda non va, ci sono ancora calcinacci in giro. Per finire "arredato" voleva dire un tavolino tondo con tre sedie rotte e un armadio traballante e senza maniglie. Beh, ormai mi tocca starci un anno no?
Dopo qualche telefonata e un weekend con l'acqua fredda mi mandano finalmente una persona a pulire e una a sistemare la caldaia, e mi cambiano le sedie. Tre sedie con il nastro adesivo a brandelli sotto le gambe, ma almeno mi ci posso sedere. Per il letto e il campanello invece non c'è niente da fare.
Dopo tre mesi di telefonate continue riesco finalmente ad avere la lavatrice in casa (comprata da me, e sorvoliamo sui lavori fatti male e l'acqua sul pavimento). Nel frattempo, forse per la pioggia o chissà per quale altro motivo, ho iniziato ad avere infiltrazioni d'acqua in casa, con conseguente muffa. Inutile chiamare qualcuno, nessuno sembra interessarsi. Eppure mica è casa mia. Se è appena ristrutturata e ammuffisce, magari... no eh?

Ora che è arrivato il momento di andarsene, circa due mesi prima della fine del contratto, mi tocca battagliare per perdere meno soldi possibile. Alla proprietaria, che deve ri-sistemare i muri prima che trovi uno studente a settembre, fa comodo che me ne vado prima di settembre. Le fa anche comodo che pago tutto fino a metà agosto pur andando via a giugno, ma lei vuole di più: soldi dell'affitto, caparra, spese.

Questo era giusto per dire che il prossimo che viene a dirmi che all'estero tutti sono onesti, che i furbetti e gli approfittatori sono tutti in Italia, si becca un vaffanculo come nemmeno Grillo saprebbe fare. Magari onesti sì, se vuol dire "me ne frego di te tanto la legge è dalla mia".

14 maggio 2012

Sempre più giù

Tempo fa avevo un'amica con cui mi piaceva parlare del più e del meno. Una volta, parlando degli scontri a Roma, mi mostrò un sito su cui si vedeva chiaramente che fra i "violenti" nella folla c'erano infiltrati della polizia, a far cosa questo non si sa, ma di certo non il loro lavoro. "Che roba", dissi, "ormai i politici italiani più in basso di così non ci possono andare". E lei: "Dagli un po' di tempo e vedrai che ci riescono!"

Direi che aveva ragione questa mia amica, le hanno addirittura superato le aspettative! Sorvolando sulle prepotenze in Val di Susa, che ormai hanno fatto capire a tutti che sotto c'è qualcosa di davvero marcio, vorrei invece parlare del Sig. Napolitano.

È di questi giorni la notizia della denuncia contro ignoti per vilipendio al capo dello Stato. Dall'alto non sono riusciti a far passare le leggi per la chiusura dei blog ma niente panico: si può sempre ricorrere a qualche cavillo per reprimere.

Ricordo un racconto di mio nonno, in cui mi raccontava di un episodio capitatogli al lavoro: un giorno il suo direttore ricevette una lettera anonima in cui si faceva riferimento a diffamazioni e idee sovversive contro Mussolini da parte di mio nonno. Naturalmente non era vero, ma a quel tempo uno sgambetto del genere poteva costare il posto di lavoro, magari la prigione, o comunque un brutto quarto d'ora.
Oggi, e per fortuna ancora in forma meno marcata, si rischia di farsi sguinzagliare addosso la polizia postale.

Perché il Sig. Napolitano non si cura invece delle denunce, piuttosto gravi tra l'altro (alto tradimento e attentato alla costituzione), che si trova a suo carico? Perché invece di cercare di far meglio il suo mestiere e guadagnarsi il rispetto di tutti come faccio io si mette invece a denunciare chi lo prende in giro per le sue minchiate?
Il problema non è chi insulta (anche se a volte la gente ci va davvero pesante), ma il motivo. Il capo dello Stato, per definizione, è oltre le parti. Questo non significa essere amico del centro-destra e della sinistra moderata, bensì giudicare imparzialmente i fatti. Se la gente non vuole il TAV ma il governo manda la polizia a fare casino, dovrebbe lanciare un avvertimento, dovrebbe dare uno stop prima che si cada nella dittatura.

Il capo dello Stato, dall'alto della sua imparzialità, dovrebbe commentare equamente tutti i partiti, per quanto folli, per rispetto a chi ne appoggia le idee. Il rispetto si guadagna. Se non lo si da, non se ne ottiene in cambio, e in questo caso specifico Napolitano ha mancato di rispetto ad una grossa quantità di gente. È un gioco di deficienti, in cui si guarda solo alla cima della catena causa-effetto. Leggere le reazioni dei politici sui giornali è come chattare con Eliza, e vi consiglio di provare l'esperienza se non l'avete mai fatto. Forse è proprio questo il segreto della loro bravura nel grattare il fondo sempre di più.

28 marzo 2012

Un piccolo passo per me, ma un grande passo per l'Italia!

Di Luna, voli, polli e gabbie ultimamente se ne è parlato in abbondanza, e tutto grazie al signor Marchiori e alla sua nuova creatura "Volunia". La presentazione, che vi consiglio di vedere solo se avete voglia di sentirvi umiliati, è definibile in breve come un'aggregazione temporanea di saltimbanchi impegnati in vari numeri, tutti insieme. Un po' come tanti polli in una grande gabbia.

Immaginate la scena: salone stile Rinascimento adorno di vecchi tomi, quelli di pelle con i temibili quadratoni dorati sul dorso, quelli che solo a vederli ti chiedi se qualcuno li legge mai davvero. Salone di rappresentanza, diretta mondiale, invitati, bicchieri e bottigliette d'acqua, fotografi, flash, c'è proprio tutto per iniziare. Ma il discorso non inizia. O meglio, parte all'Italiana, con discorsi e analogie da bambini dell'asilo, con affermazioni talmente ovvie da metter in imbarazzo Lapalisse. Il tipo di discorsi che fa sentire intelligente un imbecille, che lo fa guardare attorno soddisfatto perché ha capito ed è totalmente d'accordo: "Ecco, una bastonata in testa fa male, [pausa] nessuno vorrebbe una bastonata in testa! [imbecilli che si guardano a vicenda soddisfatti]".
Bene, il discorso è iniziato proprio così: "Il 2012 è un anno importante per la liberazione delle galline dalle gabbie, [pausa, immagine di Galline in fuga sul proiettore] gli utenti del web sono simili alle galline e noi finalmente dopo 13 anni di vecchiume li libereremo dalle gabbie! [il vicino di sedia annuisce con aria sapiente]". Questa spiegazione for dummies, oltre che a dare del pollo a tutti, serve a stabilire il livello del resto della conferenza. Tutti si rasserenano perché riescono a capire il discorso, quelli in fondo al tavolo fanno finta di leggere appunti, un vecchietto dall'aria confusa passeggia dietro Marchiori, la diretta mondiale si apre così. Tutta in Italiano, come fa notare fabristol nel suo blog. Poi il discorso si incipria di una bella dose di nazionalismo. Deleterio, come fa notare sempre fabristol.
Nel frattempo le mummie si strofinano gli occhi, non vedono l'ora di andarsene, i fotografi si scatenano al ritmo di due flash al secondo anche se Marchiori non accenna a muoversi da lì e le diapositive sono lente, insignificanti e ripetitive. I fotografi fanno il loro lavoro senza capire, incuranti, fotografano tutto 20 volte, qualcuno poi selezionerà l'1% di quelle foto. I giovanotti seduti a terra cercano di leggere fra le righe, una schiera di mummie su sedie recuperate da qualche banchetto medievale subito dietro di loro. Insomma, un pollaio seicentesco in cui si parla di innovazione tecnologica, dove si possono ammirare fotografi più bravi a fotografare veline che scienziati e dove si respira un'aria da "Le toit paternel".

Purtroppo non ce l'ho fatta a seguire fino alla fine, ma almeno nella prima metà lo stile è quello di qualcuno che spiega a gente che non sa niente: metafore e banalità ma nessun approfondimento interessante. Un accenno di dettaglio si ha quando Marchiori parla di poca potenza disponibile e di un sistema aperto in grado di scalare semplicemente aggiungendo nuovi computer: "il sistema scala, diventa sempre più bravo". Poi cambia discorso. Mah, si capisce che sta parlando con delle mummie, si capisce che ha pochi mezzi e il lavoro è tanto, e si capisce che tutti gli Italiani in gamba sono andati all'estero. Voglio dire, un progetto di questa portata realizzato da studenti e neolaureati... una prima mondiale presieduta da cadaveri appena dissotterrati... la totale mancanza di giornalisti esperti e di persone in grado di sollevare domande interessanti... sono tutti segnali abbastanza chiari. Non sono arrivato alla fine per sentire le domande, come dicevo, ma in quest'articolo si racconta che il climax è stato raggiunto con "Da cosa nace il nome Volunia". Per pietà, state zitti!

Se qualcuno dovesse chiedersi dove sono finiti SuperEva, Splinder, Infinito, iBazar, la risposta può immaginarla da solo: impantanati in grosse cacche di dinosauro e demoliti da una concorrenza che non si perde in salamelecchi, ma va diritta al punto.

Anche nelle altre interviste a Marchiori, all'uscita dalla conferenza per esempio, i giornalisti hanno la voce tremante, fanno domande troppo generiche, Marchiori se la cava con le stesse cose dette e ridette. Poi ci si lamenta della mancanza di informazioni su Volunia. E il sito ufficiale è fermo al 6 febbraio, con un video esplicativo che non spiega proprio niente. Se volete avere un'idea di cosa sia una vera intervista ad un vero esperto, date un'occhiata a questo video: la naturalezza con cui Carmack spara un sacco di informazioni tecniche e concetti complessi, anche usando parolacce, fa capire che sa quello che dice, ne è convinto, è libero da tradizioni penalizzanti e non sta cercando di convincere nessuno. Al massimo spiega, per quelli che riescono a seguirlo. Marchiori più che a John Carmack mi fa pensare a Cristoforo Colombo prima di fuggire all'estero anche lui, quando cercava fondi per la sua idea. Chissà se la Terra è tonda davvero, o se è un grosso disco poggiato sul dorso di un pollo gigante.

22 marzo 2012

Touch typing

È da un po' più di un anno che ho imparato a scrivere senza guardare la tastiera - touch typing, come si chiama correttamente. Era ora! E forse se non mi fossi scontrato con le pessime tastiere azerty francesi non mi sarei mai deciso. Un piccolo (manco troppo) sforzo iniziale, diciamo per un paio di mesi, poi si continua a prendere dimestichezza fino al punto di riuscire a scrivere mentre rispondete alla domanda che il vostro collega vi sta facendo (e mentre lo guardate in faccia ovviamente!).

Ecco, soddisfattissimo di esserci riuscito, ci ho preso gusto e ho cominciato a fare ricerche su internet, trovando articoli, curiosità e spiegazioni. Di cose ne ho trovate, fino al punto da rendermi conto che imparare la tastiera italiana è stato... non del tutto inutile, ma solo un primo passo. La tastiera qwerty italiana ha vari problemi, alcuni gravi, alcuni scemi senza motivo, altri intrinseci alla mappatura qwerty.

Andiamo per ordine di ridicolaggine: il primo posto lo darei al tasto con la c cediglia (ç), un tasto dimenticato lì quando copiammo la tastiera francese (si parla dei tempi delle macchine da scrivere). Mi risulta che in Italiano antico la ç si usava, per esempio, in parole come "senza" (sença). Questo in un'altra epoca: oggi non conosco nessuno, a parte studenti di lingue straniere, che usino questo tasto. Da notare che è un simbolo di secondo livello (cioè raggiungibile con il tasto shift), per di più sulla home row. Scambiarlo di posto con @ sarebbe già un passo avanti.

Secondo premio va alla J, lettera nemmeno presente nell'alfabeto. Già a fine '800 tale lettera perdette importanza e, come riporta Wikipedia, fino agli anni '50 I e J erano considerate la stessa lettera. Mi scuso per eventuali inesattezze, resta il fatto che oggi pochissime parole si scrivono con la J. Eppure, forse dimenticata lì quando copiammo la tastiera americana, la J si trova anche lei sulla home row. Non solo: è sotto l'indice della mano destra. È la home key di destra. Follia, delirio, o scherzo di un buontempone di cent'anni fa?
Il discorso, purtroppo, si ripete per la K, e anche la W non scherza. La P è invece nell'angolino meno raggiungibile. Insomma, la mano destra fa acrobazie e salti per premere tutti i tasti, mentre quelli più a portata non servono quasi mai.

Un'altra mancanza, magari meno grave e comunque alleviata su Linux, è la mancanza della tilde (~, AltGr+ì su Linux). In programmazione è un simbolo importante, e non averla costringe a varie acrobazie, specie su Windows. La programmazione, ricordo, esiste almeno da 40 anni, i programmatori usano le tastiere e avere un simbolo che ci serve spesso non mi sembra chiedere troppo. Magari al posto della ç, del §, al terzo livello su <>, che so.

Parlando della mappatura qwerty più in generale, ereditata dalle macchine da scrivere, c'è ancora di che lamentarsi: il buon vecchio Christopher (1800), per risolvere il problema dei piedini che si accavallavano e si inceppavano nelle vecchie macchine da scrivere, ebbe l'idea di disporre i tasti in modo che le lettere che appaiono di seguito più spesso fossero ben distanziate, in modo da rallentare la scrittura e di evitare di azionare due tasti vicini troppo in fretta. Questo risolse i problemi delle ancora più vecchie macchine da scrivere con i tasti in ordine alfabetico.
Ecco, noi nei computer abbiamo al massimo Windows che si inceppa, ma le tastiere proprio no. Portarsi dietro questa tradizione pro tunnel carpale mi pare da ritardati.

Così, per concludere, mi sono imbattuto nelle tastiere Dvorak. All'inizio sembrano spaventose, persino i numeri sono messi in posizioni strane. Alla fine però ci si abitua in fretta, un mesetto nel mio caso.
Le lettere sono messe in modo che quelle più usate siano le più raggiungibili, e vi assicuro che avere T e H vicine quando si scrive in Inglese è una goduria. Altro che K e J.
Purtroppo per l'Italiano ancora non è il massimo: le statistiche per le lettere sono infatti basate sulla lingua inglese. Le le vocali, poi, sono tutte a sinistra: quasi tutte le parole italiane finiscono per vocale, il che significa usare sempre lo spazio con la mano destra. Ma per scrivere in lingue straniere e per programmare va benissimo. E c'è anche di meglio per noi dev: la Programmer Dvorak.

Aver imparato la qwerty mi è stato comunque utile: negli internet café, a casa di amici ecc è la tastiera che più spesso si trova, e in quei casi mi risparmio di dovermi esibire in imbarazzanti hunt and peck. Però seriamente, che qualcuno pensi a riorganizzare i tasti nelle tastiere moderne, per favore. Per il Tedesco, per esempio, esiste questo layout qui, chiamato Neo. Qalche lettore che prende spunto c'è?
Per quanto mi riguarda, vivendo all'estero mi capita spesso di scrivere in lingue straniere. La tastiera italiana è comunque una cosa strana per i miei colleghi e amici, per cui tanto vale essere strani fino in fondo e fare una scelta ponderata. Nel mio futuro c'è scritto Dvorak! :)

Happy typing!

11 febbraio 2012

Come diventare un game programmer

Mi ero ripromesso di non parlare di programmazione sul mio blog, per evitare di trasformarlo in un austero elenco di tutorial in attesa di qualche scrupoloso esaminatore di curriculum a caccia di informazioni aggiuntive. Blog tristissimi, in cui la gente comune si interessa tutt'al più ad un solo post trovato su google, prima di dimenticarlo del tutto.
Ecco, non sarà un tutorial questo post, né un articolo da sfoggiare durante un colloquio, ma avrà un target ben mirato.

Così hai deciso di diventare un programmatore di videogame, magari sai già smanettare, hai scritto qualche programmino e aspetti il momento giusto per contattare le grandi aziende. Su internet tutti parlano di shader, gpu, poligoni... figata, ma cosa occorre sapere per diventare davvero in gamba? Ecco i miei consigli, derivanti dalle mie esperienze personali.
  • Imparate l'inglese. Dapprima sarà sufficiente saper leggere bene, in seguito vi sarà molto utile saperlo scrivere, parlare e comprendere, e con tutti gli accenti che esistono non è così facile. Se avete la possibilità di fare dei viaggi di lavoro/studio all'estero approfittatene, ma approfittate anche degli studenti inglesi o americani che studiano in Italia.
  • Imparate il c++. Questo non significa imparare a scrivere le tre/quattro keyword più usate, ma significa imparare lo standard. Su google potete facilmente trovare dei pdf da scaricare, tipo questo. Lo standard non va usato come testo da studiare dalla prima all'ultima pagina ma va tenuto come riferimento. Se vi serve una guida al c++ potete fare riferimento allo Stroustrup. Lo standard attuale è il c++98, con il c++2003 che ne apporta correzioni. Imparare il nuovo c++11 è sicuramente molto utile, ma pochi compilatori lo supportano per il momento, e comunque molto scarsamente.
    Molti compilatori (tutti?) non rispettano lo standard al 100%. Visual Studio, specialmente nelle vecchie versioni, è uno dei peggiori: usandolo rischiate di imparare cose sbagliate. A scopi didattici, il Comeau è ottimo e costa appena 50$. Potete anche usare il compilatore online per piccoli test.
  • Imparate un secondo linguaggio. ObbjectiveC, D, Eiffel, per esempio, sono linguaggi più permissivi rispetto al c++, ma è possibile linkarli insieme. È molto utile anche conoscere un linguaggio di scripting: Ruby e Python sono entrambi molto moderni e molto facili da imparare. A volte potete usarli per generare codice c++, o fargli fare task ripetitivi.
  • Allenatevi a leggere il codice degli altri. Per quanto noioso, vi sarà utilissimo per capire come funziona qualcosa quando la documentazione è scarsa. Dalla facilità con cui si riesce a leggere il codice si capisce l'esperienza del programmatore.
  • Evitate i trick anni '80 che spesso insegnano all'università o che i programmatori di bassa lega citano per far bella mostra: shiftare un intero invece che dividerlo era utile 20-30 anni fa, oggi tutti i compilatori sanno tradurre una divisione in shift quando è possibile. L'unico risultato che otterrete è codice offuscato. Stesso discorso per quelli che usano lo xor invece dell'assegnazione a 0.
  • Evitate Milestone, di Milano, come la peste. Finché Martinoli e altri soggetti saranno al comando, l'unico risultato che otterrete lavorando per loro sarà odiare la programmazione. Evitate qualsiasi azienda legata a BlackBean in generale: sono famosi per pagare in ritardo, il che ha già causato licenziamenti improvvisi per mancanza di soldi.
  • Siate pronti ad andare a vivere all'estero.
  • Seguite le news, e se ne avete la possibilità, partecipate agli eventi. GamesIndustry.biz è un'ottima risorsa. Se partecipate alle discussioni, tenete a mente che le persone che vi leggono potreste trovarvele davanti al vostro colloquio, un giorno. Pensate prima di offendere o di sparare cavolate.
  • Studiate i testi più importanti: Modern c++ design, di Alexandrescu e More effective c++ di Meyers sono dei must. Il red book di openGL è un'ottima guida per impare a fare grafica.
  • Trovate un forum dove chiedere quando avete dubbi: gameprog.it è in ristrutturazione e gamedev.net è sempre un'ottima risorsa.
  • Imparate a scrivere senza guardare i tasti. Una blank keyboard può essere un ottimo incentivo. Di preferenza, lasciate stare la qwerty italiana: è un ibrido malriuscito fra tastiera francese e americana. Provate piuttosto la tastiera americana o, a detta di molti, la dvorak. gtypist è un ottimo tool per imparare.
    All'inizio, forse anche per un anno, avrete l'impressione di essere più lenti e di stancarvi molto, ma non avete idea dei mal di testa che vi risparmierete evitando di fare su e giù con la testa fra tastera e monitor. E alla fine sarete più veloci e vi stancherete di meno.
  • Cercate di capire come funzionano i repository più diffusi. Git e Mercurial ve li consiglio tantissimo. Svn e Perforce sono molto di moda, ma sono alternative più antiche. Non perdete tempo con TFS e SourceSafe.
Tanti consigli possono sembrare astratti e poco utili, ma quando vi troverete ad un colloquio e vi faranno delle domande, sapere certe cose sarà molto utile. Ancora di più lo sarà una volta ottenuto il lavoro, quando dovrete mettervi al lavoro.
Alcune domande, per farvi un'idea, possono essere:
  • "da dove iniziereste se doveste ottimizzare una parte di codice, e che soluzioni adottereste"
    Le micro-ottimizzazioni sono altamente inutili, spesso anzi peggiorano le cose. Sapere come rimpiazzare un algoritmo con uno più efficiente in quel caso specifico, o come modificare le strutture di dati vi tirerà fuori dalla domanda.
  • "scrivete un algoritmo per mescolare il contenuto di un array"
    Ho visto le soluzioni più cervellotiche a questa domanda, ma la soluzione classica è molto semplice e più che sufficiente per un colloquio.
  • "questo codice contiene un bug, sapete correggerlo?"
    Capire al volo cosa sta cercando di ottenere la funzione e come è essenziale. Di solito avrete varie domande a cui rispondere e il tempo non sarà illimitato.
  • "elencatemi tre pattern di design"
    Chisto a bruciapelo può cogliere impreparati. Aver letto libri di tecniche di programmazione e non solo di sintassi vi ripagherà ampiamente.
A volte capita anche di sentirsi chiedere come scambiereste due variabili senza usarne una temporanea o altri giochetti, tipo come incrementereste di 1 un intero senza usare + né -. A volte i test sono preparati da gente che non sa niente di informatica, portate pazienza e cercate di riflettere o di puntare su altre domande. Altre volte è indice dello stile di programmazione dell'azienda in cui vi trovate. In base a quanto vi sentite ottimisti nel procurarvi un altro colloquio, potrebbe essere un motivo per rifiutare il posto. Dover lavorare con codice oscurato, scritto da programmatori vecchio stile, vi stancherà e vi farà imparare assurdità che potreste portarvi dietro per molto tempo.

8 febbraio 2012

Relatività

Anni fa, durante la mia (pessima) esperienza in Milestone, a Milano, avevo una coinquilina tedesca. Classica ragazza che era venuta in Erasmus e aveva finito per restare per anni. Aveva imparato l'Italiano molto bene, mi capiva se parlavo veloce, conosceva un sacco di parole, aveva anche quasi preso l'accento milanese. Ma quando le capitava di dover dire qualche parola inglese in mezzo a una frase, la pronunciava nel modo più giusto, ad ascoltarla faceva un contrasto enorme col resto delle parole.
Mi sono sempre chiesto il perché di quello sforzo, quando pronunciare le parole inglesi all'Italiana avrebbe creato meno stacchi nella frase, ma per correttezza mi sono sempre tenuto la domanda per me.
Anni dopo, in Francia, mi sono accorto che facevo la stessa cosa anche io. Non è chiaro finché qualcuno non te lo fa notare, e di solito la gente, per correttezza, non ti fa notare niente.
Ho trovato tre casi per cui quando pronuncio una parola in una lingua straniera mentre ne parlo un'altra si crea questa strana impressione di pausa e sforzo di pronuncia:
  1. non so pronunciare la parola inglese "alla Francese"; piuttosto che tirare fuori un verso senza senso preferisco lanciarmi in una performance degna di Oxford, il che poco si accorda col ritmo della calata francese
  2. la parola in questione, diciamo "count", detta alla Francese suona come "cunt" (leggere all'Italiana): il suono è troppo brutto, la mia pronuncia maccheronica non sarà musica per le orecchie della regina ma a tutto c'è un limite; risultato: dicendo "càunt" creo un suono che la gente capisce ma che non si aspetta
  3. in realtà non sto facendo alcuno sforzo, dico un termine inglese come lo direi a un amico italiano, tipo "Warhammer" (leggi "uoràmmer", con erre alla Russa); un Francese che non abbia la minima idea di quale sia la pronuncia corretta (e che direbbe "uarammèr", con tanto di erre moscia), sentendo un suono a cui non è abituato prenderebbe la mia pronuncia per più vicina a quella corretta

28 gennaio 2012

Mia cara bici, ma quanto mi costi?

È da un po' ormai che mi guardo in giro per comprare una bicicletta. Qui avere la bicicletta rende davvero le cose più facili, ci sono piste ciclabili praticamente ovunque e il traffico è poco e scorre lentamente. In pratica prendere la bicicletta non è sinonimo di suicidarsi come un Romano o un Milanese potrebbero pensare.
Ce l'hanno davvero tutti la bicicletta, i miei colleghi, gli studenti, persino la gente che esce la sera. Beh, visto che gli autobus finiscono intorno l'una, e che comunque già dalle 8 di sera iniziano a diventare una rarità, uscire senza bici significa uscire a piedi. E non parliamo di Taxi, per favore: l'ultima volta mi hanno estorto 110€ per un viaggio che non ne valeva nemmeno la metà.

Dicevo, è da un po' di tempo che mi guardo in giro e che prendo note mentali su dove si trovano i negozi di biciclette e quali potrebbero interessarmi.
Premetto che la bici mi serve come mezzo per spostarmi in città, non sono un ciclista professionista né un acrobata, quindi una bici da passeggio o magari una cosiddetta "mountain bike da passeggio" sono esattamente quello che cerco. Niente di troppo vistoso poi, perché una cosa che continuano a ripetermi tutti è che qui ci sono molti furti.
Oggi finalmente mi sono deciso a fare l'acquisto, sono uscito di casa armato di buone speranze e mi sono recato al negozio che mi sembrava il più economico. Era una specie di rigattiere in realtà, che vendeva tostapane, videogame, motorini e, appunto, biciclette. Due per la precisione. Due scassoni, magari rubati, uno a 240€ e l'altro a 90. Prezzi ok, ma basta dire che quando ho girato quella da 90 sottosopra per esaminarla, ha iniziato a perdere acqua nemmeno fosse una Costa Concordia.
Bene, negozio numero due: negozio enorme, una specie di tempio del ciclismo in cui servirebbe una bussola per guardarlo tutto senza perdersi. Prezzo base: 400€. E questo, a parte le dimensioni, riassume quello che mi è successo anche nei negozi tre, quattro e cinque. Risultato: niente me ne sono tornato a casa. A piedi.

Ora quello che vorrei capire è questo: vivo in una città dove sì le biciclette sono di gran voga, ma che conta poco più di 200.000 abitanti considerando anche la provincia, e dove la gente va in giro con scassoni arrugginiti e senza cambio perché comunque c'è il fattore furti da considerare. O il fattore "scherzo di qualche studente ubriaco che ti butta la bici nel fiume". Quindi, dicevo, questi negozianti snob che ti guardano come un barbone perché non spenderesti più di 200€ per una bicicletta, come cavolo fanno a campare? Riconosco, anche da profano, che vendono ottimi articoli, di tutte le forme e qualità. Ma a partire da 400€. Diciamo ora che riescono a vendere - non saprei - due o tre biciclette al giorno. Mi pare difficile eh, perché in giro per strada di biciclette fenomenali non ne vedo. D'altra parte chi si comprerebbe una bici da 1500€ per andare al lavoro? Quindi puntano decisamente agli appassionati (o ai figli di papà). Diciamo due al giorno, con un margine di guadagno di 50€, farebbero 2000€ al mese, a cui vanno tolti l'IVA (eh sì, anche qui abbiamo questo flagello), gli stipendi degli impiegati, bollette e affitti vari. No, i conti non tornano. Anche vendendone quattro al giorno, fanno 4000€ al mese e 80 bici vendute. Non mi intendo di commercio ma anche questo mi pare poco. L'unica altra cosa che riesco a pensare è che il margine di guadagno è molto più alto.

Vatti a fidare, l'unica cosa sicura è che non intendo comprare niente di esagerato. A costo di comprarmi uno scassone e smontarlo pezzo pezzo per renderlo agibile.

21 gennaio 2012

SOPA, POPA, PIPA

Ebbene signori, proprio mentre le tanto discusse leggi americane sono in fase di approvazione, ci accorgiamo che MegaVideo non funziona più, così come i siti ad esso connessi MegaUpload, MegaPorn e MegaCheAltroNeSo.
Nella mia ingenuità ho sempre sospettato che MegaUpload venisse usato per scopi illegali ma, visto che per vedere film senza limiti di tempo chiedevano un abbonamento mensile, ho sempre visto MegaVideo come un'alternativa piuttosto interessante a Sky, del tutto legale. Non mi sono mai iscritto personalmente (di solito guardavo un episodio di Lupin III o Ranma ogni tanto), però a leggere commenti di altre persone pare che, una volta accalappiato un cliente, disdire un abbonamente fosse estremamente difficile. Pare, inoltre, che i responsabili dei vari MegaSiti fossero implicati in riciclaggio di denaro e in molte altre attività poco lecite. Di questo non so niente, ma mi chiedo se non siano più colpevoli di violazione di copyright di qualsiasi altro sito con contenuti inseriti dagli utenti.
Spero di non infrangere nessun copyright e di non far chiudere Blogspot postando qui l'immagine che appare ora connettendosi a megaupload.com:


Va notato, comunque, che tutto questo è successo il giorno dopo l'oscuramento di Wikipedia e di tanti altri siti per protesta contro SOPA e PIPA. C'è già chi formula ipotesi, chi dice che quest'azione dell'FBI sia volto a dimostrare che, con o senza SOPA, lo stato americano riesce ad ottenere quello che vuole a colpi di estradizioni (le persone arrestate, fondatori ed impiegati, si trovavano in Nuova Zelanda), c'è chi dice invece che il tempismo sia perfetto per dimostrare al mondo la pericolosità delle nuove proposte di legge e quindi per screditarle.

Non mi interesso di politica americana per quanto questa possa avere impatti anche sulla nostra vita, ma mi chiedo, signore e signori, quante di queste accuse siano effettivamente fondate e quante siano state messe lì per fare "volume".
E soprattutto mi chiedo: qualcuno ne gioverà da quest'oscuramento?
Le persone arrestate, specialmente gli impiegati, non hanno più niente se non 20 anni di galera da scontare. Server, conti in banca, locali, è stato sequestrato tutto, la vita di queste persone è rovinata. E non dimentichiamo i clienti che usavano MegaUpload per scopi leciti, magari per tenere una copia dei propri dati e condivederli con colleghi o conoscenti. Non so se le accuse siano fondate o meno, alcune anzi mi sembra possano porre un precedente molto preoccupante, ma queste sono le parti lese. La scusante è proteggere i diritti d'autore. Facendo parte io stesso del mondo dei videogame mi fa piacere sapere che ciò per cui lavoro è tutelato da leggi, ma bisogna, secondo me, misurare la gravità del problema "pirateria". Ora che MegaUpload ha chiuso, che migliaia di link a file illegali sono invalidati per un po', che qualcuno ne approfitti per contare le vendite in più e che questi dati siano resi pubblici. Il sospetto è che non cambierà nulla, che nessuno vedrà alcun beneficio, il tutto sarà a scapito dei fondatori di MegaUpload. E a scapito mio che non potrò più vedere Lupin.

Il discorso sarebbe lungo e credo sarà meglio approfondirlo in un altro post, ma prima di gridare "al pirata" bisogna contare. Il furto è tale quando c'è una parte lesa. Sarò pronto a schierarmi contro la pirateria quando, numeri alla mano, mi si spiegherà che, tolte le spese legali e amministrative, combattere la pirateria comporta un utile, che ridurre in miseria gente che parassita il mio lavoro (e qui la lista sarebbe lunga, altro che MegaUpload) rende davvero il mondo un posto migliore.

Resta da capire cosa ne sarà di YouTube ora, visto che Ranma andrò a vedermelo lì. E resta da sperare che a nessuno venga in mente di usare sourceforge e github per trasferire file illegalmente.

6 gennaio 2012

M'interessa, non m'interessa...

In questi giorni di spread che sale costantemente, di manovre finanziarie e crisi non si riesce più a aprire un sito internet o un giornale senza farsi sbattere in faccia la liberalizzazione degli orari dei negozi, gli indignados, le banche. Pare incredibile ma persino gemmadelsud è stata messa in ombra. Chiodo scaccia chiodo?

Fedele a questa moda, anche io mi butto nella mischia con questo post, dettato dalle mie decennali esperienze come un po' accade per tanti altri blogger.
Le banche, ormai, sono l'argomento preferito di tantissima gente, letterati e scienziati che di colpo si scoprono esperti di finanza. Queste istituzioni immorali che creano soldi dal nulla, che fanno soldi sfruttando il tempo e di conseguenza peccando gravemente, che falliscono e vanno a piangere alla tesoreria dello Stato e si fanno aiutare con i soldi che loro stesse hanno prestato e persino creato.

Di solito pensiamo che sia il capo di Stato ad avere il potere. Di recente, su un giornale italiano ho letto che un politico ha bisogno essenzialmente di tre cose: soldi, potere e prestigio. Con i soldi si pagano campagne pubblicitarie, eserciti e tutto quello che serve per avere il potere. Soldi e potere insieme danno prestigio, e il prestigio porta a guadagnare soldi. Il problema di questo trittico è che i soldi sono emessi dalle banche e, per dirla in parole semplici, se vuoi i soldi la banca ti tiene per i coglioni.
Non è difficile immaginare una situazione tipica di un politico molto influente: lui ha bisogno di soldi per pagarsi i vizi e per vincere le prossime elezioni, magari per corrompere un giudice, per pagare delle penali, per insabbiare qualche scandalo. Quei soldi li ha (o meglio li fabbrica) la banca. È così che la lobby dei banchieri guadagna potere nelle faccende politiche. Se un politico non può pagare le armi per contrastare la fazione avversaria o semplicemente degli avvocati per difendersi dagli oppositori, affonda. Se la banca, per delle intempestive "difficoltà economiche" in quel momento non ha soldi da prestare, il politico di turno è nei guai. È quindi suo interesse diretto fare in modo che le banche non si facciano venire queste "difficoltà economiche" nei momenti di bisogno.
Un bel circolo vizioso che non ha niente a che vedere con rischi, lavoro, sacrifici. La ricchezza (di beni, di soldi, di quello che sia) è una motivazione importante: chi si prenderebbe la responsabilità di pagare (di fatto mantenere) delle persone senza un ritorno di qualche sorta? Un dipendente che interesse ha a creare la propria attività se lo stipendio rimane lo stesso o addirittura si abbassa, mentre orari di lavro e responsabilità aumentano? Ebbene, per una banca questi rischi così gravi proprio non riesco a vederli.
Le banche prestano soldi (a quanto pare che non hanno), chiedono interessi che non possono essere pagati (se una banca mi presta 10€ [I]che non ha[/I] e ne vuole 12 in cambio, io devo chiederne altri 2 in prestito per poterli rendere e così via). E così le banche cercano di ingraziarsi favori come possono e in cambio chiedono altri favori. In fondo, a rendere vive queste entità astratte siamo noi stessi. Noi abbiamo il potere di scegliere che prodotti comprare, che conti usare e se usarli (anche se ormai non più tanto facilmente). Chissà che succederebbe se andassimo a prelevare soldi liquidi tutti insieme - tutti i risparmi, fino a lasciare 5€ sul conto o anche meno.

A scuola, nei libri di storia tutto sembrava chiarissimo: i servi della gleba sgobbavano, gli schiavi non avevano speranze, i nobili passavano il tempo come potevano e i re erano a turno giusti o ingiusti. Tutto chiaro, un pedaggio ingiusto mi faceva automaticamente chiedere perché tale re era tanto cattivo da pretenderlo, una liberalizzazione mi faceva dire "ah, ci voleva tanto?". Mi chiedevo perché i nobili non andavano a studiare e a cercare un lavoro come tutti e perché i contadini non cercavano di migliorare le proprie condizioni. Perché non facevano amicizia fra di loro, in fondo erano tutti degli ometti medievali ignari del futuro da dove li osservavo. Tutto mi sembrava evidente, solo che quella gente per qualche motivo non cambiava mai atteggiamento.

Oggi, in una società che fra indignados, dittatori, e grandi aziende è un casino totale, non si capisce più niente. Eppure, io dei paralleli con l'antica nobiltà, con i cavalieri che di tutto facevano pur di avere un cavallo su cui sedersi, con banchieri ebrei e tutto il resto ogni tanto riesco a farli. E allora mi sembra di nuovo tutto chiaro.

Faccia da Sony

Fra i recenti attacchi informatici del gruppo Anonymous, la denuncia a GeoHot, il flop della PsGo seguito a ruota dal flop della PS Vita, Sony, la società creatrice della vecchia cara PlayStation sta collezionando figuracce una dietro l'altra e riducendo la sua immagine pubblica a quella di un'azienda di quart'ordine. E dopo quello che mi è capitato ieri avrei proprio voglia di vedere che gran faccia da Sony ha la persona responsabile del PlayStation Store.

È di questi giorni la notizia sul ritorno in campo del gruppo Anonymous, con una minaccia postata su Twitter circa l'eliminazione della Sony con pesanti attacchi informatici a siti e impiegati. Motivi ideologici, forse interessi di qualcuno, chissà. Resta il fatto che Sony è stata presa di mira da gente che ha dimostrato di fare sul serio.
L'anno scorso, verso maggio, si sono fatti sottrarre la bellezza di 12700 numeri di carte di credito e qualcosa come 24 milioni di login/password. Roba da sguazzarci per chiunque voglia rivendere un succoso dizionario di login. Naturalmente da Sony sono arrivate smentite, patch, chiarimenti, scuse, il tutto con la dovuta calma mediatica tanto cara alla cultura giapponese. Forse questi numeri rubati sono inutilizzabili, forse le password non erano conservate in chiaro. Fatto sta che se la mia carta che avevo registrato sul PlayStation Store non fosse ormai scaduta non avrei dormito tanto tranquillamente. Senza dilungarmi troppo, resta il fatto che questo attacco è andato a segno.

Ieri ho cercato di collegarmi al PlayStation Store per provare qualche demo per PSP. Avendo cambiato PSP, password e email da quando mi ero iscritto l'ultima volta (non ci si può connettere se non tramite la PSP legata al proprio account), ho deciso di aprire un nuovo account. Naturalmente ho avuto cura di inserire solo dati falsi, non essendo interessato a fare acquisti, ma ad un certo punto mi è comparsa la temutissima pagina che chiede il numero della mia carta di credito. Per fortuna c'era un tasto "Skip". Poi altre domande, fino ad arrivare al momento di registrare la mia PSP nel nuovo account. Di nuovo la pagina di richiesta della carta di credito. "A che gli servirà mai visto che la PSP l'ho già pagata e l'account è gratis", penso io... Skip! E qui la sorpresa: la registrazione della PSP fallisce. Il login dalla PSP non funziona, l'account è inutilizzabile. La pagina della carta di credito è sorprendentemente ben fatta, al punto di accorgersi che i numeri di carte che si trovano in rete sono falsi, quindi non la si può aggirare. In altre parole se vuoi aprire un account puoi, se poi lo vuoi anche usare devi metterti a rischio. Naturalmente ho lasciato stare. Ma perché questa forzatura sospetta, proprio in questo momento di insicurezza? Ci vuole proprio una gran bella faccia...

Ieri ho anche cercato di ridare vita al "lettore mp3" Sony che acquistai ingenuamente anni fa: gran bella fregatura, non legge né mp3, né ogg né niente. Solo il suo formato comprensibile unicamente a SonicStage, che naturalmente è Windows-only e lontano da essere ai livelli di WinAmp o SongBird. Senza contare che comprimere musica già compressa (da ogg/mp3 a atrac) comporta un'ulteriore perdita di qualità. E senza contare che in aeroporto mi fermano sempre, perché ai controlli l'elegante lettore atrac della Sony appare molto simile a un coltello. Risultato: ho lasciato stare.

Tornando a parlare di console, secondo alcune fonti la classifica di vendita della settimana scorsa in Giappone è:
  1. Nintendo 3DS - 197952 unità vendute
  2. PlayStation 3 - 67199 unità vendute
  3. PSP - 62746 unità vendute
  4. PS Vita - 42648 unità vendute
La somma di tutte le unità Sony non arriva nemmeno al numero di console 3DS. Certo è che io non ci penserei nemmeno a comprare una console che non offre modalità online a meno di dare numeri di carta di credito, che non è in grado di riprodurre ogg/oga né flac e non supporta nemmeno più i miei vecchi giochi. Dovrei anzi anche comprare le nuove memory card, illeggibili dal PC senza comprare adattatori e sommergermi di cavi tutti diversi fra loro. Stesso discorso vale per la PlayStation 3, che se un tempo poteva allettarmi con l'idea di installarci su Linux e avere un PC extra sempre collegato al televisore e senza cavi o pezzi in più in giro, ora mi attira quanto un tegamino.
Potrei andare avanti ancora per molto a parlare delle CyberShot, dei Vaio, degli Ericsson, dei televisori... ma preferisco lasciar stare :)
E pensare che un tempo ero un grande fan della Sony, che con la PlayStation e il loro design elegante ha saputo conquistare milioni di clienti.